Anni fa, su un forum dedicato alla chitarra classica, comparve questa discussione, a dire vero poco stucchevole e certamente provocatoria, che ingenerò litigi a non finire. Scrissi un unico post.
Non parlerei di poca efficienza acustica, concetto di per sé assai generico, ma, nel caso della chitarra, semplicemente di bassa intensità. L’intensità, come si sa, non è che una delle tre qualità fondamentali del suono, e sul fatto che gli strumenti a pizzico trovino in questo aspetto il loro tallone d’Achille non credo sia il caso di rivangare. In qualche modo, già assai prima dell’avvento tecnologico dell’amplificazione, i chitarristi trovarono modo di ovviare a questo inconveniente. Si pensi a Mauro Giuliani -ed alle sue pannellature in legno-, sul quale lo stesso Haydn dovette ricredersi. L’ingegno viene spesso in soccorso dell’arte. E’ possibile trattare l’intensità senza snaturare o impoverire il piano timbrico, autentico cuore pulsante del nostro strumento. In un certo senso, la capacità di ottenere un volume adeguato dalla chitarra, sulla base delle necessità contestuali, è un’abilità del tutto simile a quelle relative alla scelta delle corde, del repertorio ideale, del tocco elaborato in una vita di analisi, dell’unghia, del respiro e dello strumento stesso. Già, lo strumento, il quale non riflette altro che una scelta di stile. Troppo spesso trattiamo l’esecuzione di un grande interprete non come una gestalt ma come una sommatoria di elementi giustapposti, spingendoci fino all’estrapolazione in fase di critica, esercizio di rara inutilità dal mio punto di vista. Indagando con la memoria tra i cartigli legati ai grandi interpreti, vi sono alcuni nomi di liutai ricorrenti, insistenti, alcuni di moda più recente, altri (come Ramirez III) in fase di regressione. Certo, la tendenza ci fa. Non di meno, se personaggi come Bonnel, gli Assad, Abreu, Romero, Bream hanno imbracciato una Romanillos come possiamo pensare che non esistesse, ed esista ancora, una ragione superiore e funzionale alla loro arte? La chitarra del giovane liutaio emergente, che si fa esperienza copiando questo o quell’altro, e col tempo approderà forse ad un progetto autonomo, è certamente un buono strumento. Ma per chi? Il grande concertista gira il mondo e viene a contatto con un mondo sonoro che ai più rimarrà negato, fa le sue scelte sulla base del meglio, non conosce contrarietà. Francamente, 3000 o 30000 euro possono essere tanti o pochi, non credo sia questo il punto. Si tratta di commisurare l’artista ed il mezzo espressivo, dando per buono il fatto che portare al polso un cronografo Hanhart del ’42, appartenuto ad un pilota della Luftwaffe, non è la stessa cosa che portare al polso una copia dello stesso con movimento al quarzo. Il secondo tiene il tempo molto meglio, ma questo non significa appropriarsi di un’epoca e comprenderla sino in fondo. Semmai, significa esattamente l’opposto.