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La mia tecnica

Ho sempre avuto una grande forza nelle mani. Quando venni al mondo, mia madre, irrequieta per via della sproporzionata grandezza delle stesse rispetto alle braccia, per prima cosa mi calzò dei bei guantoni rotondi ed azzurri.
Crescendo, le mie mani sono rimaste sì mediamente grandi per una persona della mia altezza, ma piuttosto tozze: come dico spesso ai miei allievi, se riesco a prendere questa posizione io lo puoi fare anche tu.

Ognuno ha le mani che ha, nessuno cerchi mai un alibi in un mignolo corto o in un indice troppo sottile ed incurvato. Esistono chitarre di varie dimensioni, nessuno ha mai detto che si debba suonare tutti col medesimo diapason. Il diapason è la distanza fissata tra capotasto e ossetto del ponticello.
Una mano molto sviluppata si troverà a suo agio con un 66,
una mano piccola con un 63, 64.
Tenete presente che il diapason normale di un moderno strumento da studio, così come da concerto, è 65.
Tutto sta nel trovare i giusti accorgimenti affinché la propria tecnica (mezzo) permetta una valida interpretazione (fine).

Non ho qui lo spazio necessario per dibattere in ordine all’immensa letteratura dedicata alla fase propedeutica all’interpretazione, vale a dire la tecnica in senso lato.
Posso dire che, nel mio caso, mentre con la mano destra mi è sempre riuscito relativamente facile più o meno tutto, altrettanto non posso dire per la sinistra.
Ho dovuto ragionare e studiare molto in ordine alla dilatazione-contrazione ed alla diteggiatura. Ho ragionato sullo squilibrio esistente in me tra Yang a Yin.
La Gru è giunta in mio aiuto.
Ho dovuto capire quale che fosse il mio modo corretto di suonare e di non suonare.
Inoltre, avere molta forza nelle mani come nel mio caso, non è necessariamente un vantaggio: il rischio sempre presente è quello di non essere precisi nell’attacco della barretta. Compensare con la forza è un grossolano errore. Anche qui, l’arte della precisione la si apprende con il tempo e con la dedizione, i dettagli spesso valgono più di un enunciato generico.
Siete esseri unici, convincetevene.
Non cercate di assecondare un modello che un libro o un insegnante disattento vi propongono, in forma paradigmatica. Ragionate sempre con la vostra testa e con le vostre orecchie, inseguite la comodità nella postura e le buone vibrazioni.
State lontani dal mal di schiena e dalle tendiniti.
Va da sé che la chitarra poggiata sulla gamba sinistra ed il polso scostato dalla tavola armonica sono buone regole, così come lo sono un attacco a martelletto del polpastrello della mano sinistra. Queste cose, scritte su ogni sacro testo, non vi aiuteranno però in modo decisivo per la vostra crescita.
Gli unici veri artefici del vostro buon percorso sarete sempre e soltanto voi stessi, a patto di interrogarvi su quel che fate e sul come lo fate.
L’orecchio è sovrano, lasciatevi guidare da lui, assecondatelo ed istruitelo per il meglio: la vostra tecnica poco alla volta si adeguerà alle sue direttive, in ordine al tocco, in ordine al vostro intimo contatto con lo strumento.
Ascoltate buona musica ed osservate bravi musicisti: la musica prima di passare per le dita deve essere ospitata e confortata dalla vostra mente.

Personalmente adoro le scale e adoro gli arpeggi, odio gli esercizi di tecnica meccanica privi di musicalità. Ho sempre cercato l’elasticità della corda e prediligo di base il suono intenso della buca a quello più aspro del ponte, proprio della chitarra spagnola. Ho compreso negli anni che l’attacco delle corde è intimamente definito, riflette l’indole di chi suona, è semplicemente insensato pensare di istruire qualcuno sul perfetto attacco. Un’unghia molto spessa e rigida cercherà soddisfazione in una tensione altrettanto forte, un’unghia tenera ed elastica si muoverà nel proprio elemento ugualmente elastico.
Chi ama il cambio di colore timbrico imparerà a danzare sulle corde, con buona pace dell’ingessatura del polso. La mia tecnica nasce dalla riflessione profonda riguardo al concetto di corpo vibrante, ossia la precisa necessità di mantenere le corde in vibrazione senza disperderne le armoniche. Eseguendo un arpeggio a vuoto sulle sei corde da mi a mip, i, m, a, m, in modo circolare e continuo capirete cosa intendo dire.