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Presto anzi prestissimo

C’era una volta la musica, la magia delle magie. C’era una volta la musica, ed era dei musicisti. Essi la detenevano, simili a maghi, possessori unici di un incantesimo potente e meraviglioso.
Non vi era musica senza musici, non esisteva magia sonora senza lo stregone munito di liuto, zufolo e tiorba. Lo stregone, il mago, il musico appunto, trasformava l’ozio in piacere, il tedio in gaudio, la placida notte d’Estate in conturbante sarabanda; scatenava col suo tocco fatato gli istinti degli uomini, favoriva le dolcissime perdizioni, cullava selenici sogni.
Pensiamo alle corti dei regnanti e dei signori, tuffiamoci nella storia, scorriamone l’iconografia; sempre e ovunque i potenti si sono circondati di maghi, affinché la delizia musicale scandisse per loro l’incedere del giorno. Il re diventava allora padrone del musico e mago, ma non dell’arte magica; se al proprio schiocco di dita l’atmosfera tetra del castello si animava di note, e sfavillanti colori prendevano forma, questo solo significava che altre dita, dita fatate, cedevano ad un volere superiore, dunque obbedivano, sì, ed operavano un incantesimo antico, la musica, ancora.
E tuttavia non si faccia confusione, non si perda l’orizzonte.
Era il musico, non il potente e non un dio, a violare il silenzio. Egli soltanto era in grado di farlo. Non vi era musica senza musici.
Ai poveri restava il canto del gallo, il frinire delle cicale, ai più fortunati il suono del mare. Ai poveri altro non restava che cantare e fischiettare, e questa considerazione, per altro sollecitata da altri e ben più grandi pensatori di chi scrive, non deve apparire superficiale; potrebbe tornare utile, invece, a coloro i quali indagano sulla tradizione popolare, intorno alle origini della canzone.
Sempre è esistita e sempre esisterà la giovane fanciulla che intona suoni dei quali nulla conosce e che tutta via avvincono mente e cuore… e così, tanto si potrebbe dire e non v’è spazio, di qui si potrebbe cominciare e non, come ora, terminare.

Dell’oggi che si può dire? Che forse vale bene la pena di spendere un migliaio di euro per acquistare l’intera, o quasi, opera di J.S. Bach, salvo affidarla poi ad un impianto Home Theatre e sentirsi come un sommo cardinale in una cattedrale.
Ed è forse giusto scaricare da internet l’opera omnia dei Pink Floyd in formato mp3 e “spararsela a palla” in macchina, tanto per sentirsi al centro del mondo.
Dell’oggi si può dire che non è proprio il caso di scaldarsi tanto, se la frontiera discografica dell’ultimo ventennio ha, poco a poco, sostituito viole e violoncelli con archi sintetizzati, imitazioni sempre più perfette, incantesimi riusciti, magia pure questa.
Non più dita che pigiano corde in vibrazione, ma dita che pigiano tasti di plastica al silicio. Non li riconoscerete mai, mai scorgerete la differenza, chi se ne importa.
Il gioco è comunque fatto, il silenzio comunque rotto.
Dell’oggi si può dire forse che siamo diventati tutti re, e che di maghi e santi non sappiamo più che farne. Non c’è morale, non c’è lieto fine, solo il segno del tempo che corre. Presto, anzi prestissimo.

Enrico Nazario su La Mosca Bianca 2005
01 aprile 2005