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Allemanda

Presi a suonare sul pianerottolo per sfruttare il riverbero della tromba delle scale, per lo più musica barocca inventata di sana pianta da me. Nulla di originale, anzi, plagi allo stato puro di tutto quel che sentivo sui dischi, che oramai non mi mancavano. Citazioni, neanche tanto banali tecnicamente, da Scarlatti e da Haendel. Mi accanivo disperatamente sulla BWV 998, troppo complessa ed inaccessibile per me a quei tempi, e che pure mi piaceva così tanto, tanto più degli studi di Sor, dei quali per altro non recepivo la struttura corale ed eseguivo molto malamente. Sor continuo a suonarlo di merda ancora oggi. Avevo in testa il conservatorio, i dischi dei grandi interpreti, il chitarrista flamenco, un sacco di musica moderna, gli assolo dei grandi chitarristi progressive. Memorizzavo tutto con una gran facilità, ma rimanevo lontanissimo dall’ideale che mi ero prefisso, studiavo in modo molto dispersivo e discontinuo, mi si rompevano le unghie continuamente, mi stancavo e mi abbattevo con grande facilità. Non ero soddisfatto del mio suono, della mia tecnica, le mie mani andavano molto veloci ma, in una parola, non avevo il controllo di quanto facevo e andavo in apnea. Il ciccione del conservatorio mi ascoltò una volta e disse:
“qui c’è molto da lavorare, iniziamo col cambiare strumento, ché con questa non si va lontano, e poi fatti crescere le unghie e stai un po’ dritto quando suoni”.
Tutto giusto e tutto vero, ma in definitiva che cosa cerca un allievo in un Maestro?
Energia e suggestioni, parole ma soprattutto cibo per le proprie orecchie affamate.
Quell’uomo, al contrario, la sua chitarra non la imbracciava mai, e dire chene intesseva le lodi continuamente, strumento perfetto, strumento raro e bilanciato, estremamente prezioso. La mia chitarra era, invece e soltanto, un prodotto di buona falegnameria, ma intanto era la chitarra di mio padre e poi era l’unica che avessi. E ancora, non è che suonassi da storto, suonavo in un modo giusto per me, con la fascia a portata di mento e contemplazione. In quanto alle unghie, ebbene il consiglio corretto me lo diedi da me stesso anni dopo: non farle crescere, ma accorciarle.
Potrei scrivere qui di seguito molte battute, e molte note a riguardo, ché la chitarra a quei tempi era nell’ambiente accademico poco più considerata che un trastullo per poveri orfanelli. E tuttavia non scriverò altro che una bella pausa da sedici misure. Che ognuno ponga qui la cadenza che crede.