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La mia idea di fondo era scrivere qualcosa da portare in giro per concerti da solo.
Mi ero stufato di organizzare per mio conto recital di repertorio classico che, oltre a non farmi rientrare nemmeno delle spese, mi recavano dei gran mal di pancia per la tensione accumulata, ed in più andavano pressoché deserti con buona pace dell’ingresso libero.
Potevo fare musica mia in ambienti diversi che non fossero chiese, organizzarmi serate nei locali dove già avevo suonato con la band, farmi conoscere e vendere il disco, diventare il nuovo astro nascente della musica pop.
Ci provai per un po’, ma l’energia mi venne meno. Distrazioni, mal d’amore, stupidità accertata e varie altre voci decretarono il fallimento del progetto, non ultimo una crisi d’identità mai risolta, un’università mai finita, la sensazione di non essere abbastanza bravo.
Animali da palco si nasce. Come diceva sempre uno dei più grandi intenditori di chitarre e chitarristi della mia città: “ viene fuori chi sa esaltarsi davanti agli altri”.

Concerto

a questo punto di vista, cioè dal punto di vista dell’esibizione in pubblico, io sono uno strano soggetto e lo sono sempre stato, fin da quando all’età di dieci anni ero uscito fuori solo soletto ad un saggio per affrontare il pubblico di un teatro enorme e gremito. Suonavo per quarto e portavo una gran menata spagnola. Non avevo finito di sedermi che inciampai nel poggiapiedi e feci crollare il microfono in un larsen assordante, la mia vera anima rock si ribellava, evidentemente.
Ma il punto è un altro, mentre tutti gli altri bambini alle prove scherzavano, io ero in tensione da settimane per l’evento, non dovevo sbagliare, non potevo.
E’ curioso, se penso alla mia vita mi riscopro sempre e soltanto con la chitarra in braccio mentre suono davanti o con qualcuno, eppure la mia dimensione ottimale, più intima e vera, e quella di me stesso che suono in solitudine mentre altri lontani da questo piano mi ascoltano. Cadenza.
Di fatto, il concertismo proprio non poteva essere il mio mestiere, e non ho impiegato neppure molto tempo a capirlo. Una volta assistetti ad un concerto di un grandissimo e celebrato chitarrista, un mio idolo, che eseguì le quattro suite di Bach di fronte al pubblico delle grandi occasioni e tutta quanta la Pompa pubblica. Non sbagliò che due note due, e me le ricordo entrambe, credo di essere stato uno dei pochi ad accorgersene. Quando il concerto terminò era fresco come una rosa, la sera dopo avrebbe ripetuto l’evento in un’altra città fuori dall’Italia. Io ero in un bagno di sudore, suonare al suo posto sarebbe stato meglio. Avrei sofferto meno.