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Gavotta (finale)

Ciò che davvero appresi, fu l’arte del bambù, il piccolo dito che puntato nell’incavo esatto si flette e regge l’urto dello sforzo. Mi resi altresì conto che la forza bruta applicata al nostro strumento altro non reca che danni e distoglie l’attenzione dalla regola suprema, l’equilibrio della Gru. Mi si disvelarono nuovi orizzonti, sviluppai una sensibilità del tutto nuova in ordine al tatto, mi riappropriai del mio Yin penso oggi, all’epoca mi contentavo di avere sconfitto la fatica sulla tastiera, per me un’autentica rivoluzione. La mia Maestra tornò da una tournée estiva con una tecnica della mano destra completamente modificata, e cercò di farmene parte, con buona pace di tutti i mesi di lezioni precedenti. Fatto inquietante, quella nuova tecnica era lo specchio fedele della mia, e più osservavo quella piccola mano raccolta a pugno più mi sentivo nel diritto dovere di chiedere quanto meno un diritto d’autore. Quell’ora di lezione fu davvero surreale, alla fine mi conformai al suo desiderio, poiché lo sforzo che mi richiedeva era pari a nulla.
Ci furono altre cose, altre piccole storie, chiamiamole così, l’iter proseguì per suo conto, animato da leggi che poco o nulla hanno a che fare con la musica, tant’è, un bel dì suonai in una sala che immaginavo più grande e sontuosa, suonai pure malamente e con grande agitazione, il mio Giuliani ed il mio Bach. Misi in mostra le mie smorfie migliori per sostenere un’improbabile opera contemporanea, tanto vuota quanto astrusa. Mi cadde pure un foglio.
Nonostante ciò alcuni signori mi dissero che ero diventato un maestro. La vita è anche fatta di bugie.