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Gavotta

Ripresi i miei studi di Sor e mi cercai un nuovo insegnante, trovai un colossale imbonitore che mi fece capire, e di colpo, e per sempre, quale fosse la realtà del mondo circostante a livello didattico, accademico, musicale e chitarristico.
Non tutta la realtà, questo è certo, ma una buona parte di essa.
Una vera e propria iniziazione al mondo degli adulti, nella forma e nella sostanza.
Prendi un ragazzo che non ha ancora vent’anni, riempilo di musica e di palline colorate nella testa, metti che magari abbia una sensibilità non proprio comune, ed ecco che hai un perfetto idiota, capace di bere qualunque cosa, incapace di vedere e di sentire ciò che vede e che sente. Segnato a fuoco.
Ancora oggi, quando ho a lezione un adolescente seriamente intenzionato, mi faccio non uno ma mille scrupoli, ho idea di non essere all’altezza, gli indico vie più convenzionali per proseguire gli studi, e in ogni modo cerco di farlo ragionare sul vecchio adagio impara l’arte e mettila da parte. Freno io per lui, meno chitarra e più matematica, cose così. A volte però, i miei buoni propositi finiscono in cavalleria, ed allora sono guai, ché in fin della fiera diversi miei allievi hanno fatto della musica il loro mestiere. Ma è colpa loro. Mezzo e mezzo.

La prima volta che vidi ed ascoltai questo nuovo maestro, pensai lucidamente che il suo tocco era rozzo e sporco, l’arredamento del suo studio troppo nuovo e privo di storia, il suo farfallino assolutamente ridicolo. Non una, non due, ma tutte le cose stonavano tremendamente. Nonostante ciò, il suo fare paterno mi conquistò, e mi ritrovai nei mesi seguenti a svolgere tutta una serie di attività per così dire extra scolastiche, che con i miei studi nulla c’entravano. Gli recapitavo volantini e manifesti pubblicitari, spedivo lettere per suo conto e tante altre piccole cose.
Poiché ero bravo a suonare, mi assegnò pure qualche studente di chitarra moderna, e ad un certo punto anche qualcuno di classica. Non vidi mai un soldo, ma io a questo neppure pensavo, ero in trance e vivevo la mia dissonanza cognitiva come in un vero testo di psicologia clinica. Passò pochissimo tempo e mi portò in giro per concerti, mi spacciava come fulgido esempio del suo operato didattico, ancorché ci conoscessimo solo da qualche mese. Egli era in perfetta buona fede, probabilmente, e in ogni caso non serbo rancore ad altri che a me stesso.
La cosa finì di colpo, in circostanze che non sto a spiegare. Mi svegliai.
Di quei giorni ho un ricordo fin troppo limpido, la vergogna che provo è enorme ancora oggi, sono stato un idiota al massimo grado.

Eppure, anche quell’esperienza mi era servita, o forse così mi piace ora pensare.
Suonare in solitudine davanti ad un pubblico da sala fa compiere balzi inaspettati ed imprevedibili. Facendo carte false, vendendo monete d’oro ereditate dallo zio del Belgio e grazie all’aiuto di una signora che non dimentico, acquistai il mio primo strumento da concerto, che ho ancora oggi. Lo strumento nuovo, i concerti, la giovinezza, tutti elementi capaci di profondere una sinergia incontenibile; senza accorgermene in meno di un anno ero diventato un chitarrista quasi fatto. Quasi.

Mi ritrovai alla corte di una docente di conservatorio assolutamente sponsorizzata e parecchio considerata, introdotta nel mondo che conta. Cominciammo le lezioni in primavera. Aveva un gran timore nei miei confronti, e non ne capivo il motivo. Il motivo lo compresi da grande, l’avevo oltremodo impressionata. Ma qui la chitarra c’entra e non c’entra. Cadenza libera, almeno trentadue battute.
Prima di me a lezione stava una ragazza del decimo anno, l’insegnante la ascoltava, scambiava con lei chiacchiere come si fa tra amiche, la riempiva di complimenti; non appena l’allieva usciva dalla porta, l’insegnante se ne lamentava apertamente con me “ questa non diventerà mai brava, questa è priva di talento, questa me la porto solo per far numero” Uno strano modo di concepire l’insegnamento.

Sulle prime cercò di reimpostarmi, di spiegarmi quel che non funzionava, di ridurmi al ruolo di piccolo studente ancora da affinare, ancora da fare, ancora e ancora.
Dopo poco però cambiò radicalmente atteggiamento. Non ero plasmabile, non ero riducibile, arrivavo da un percorso musicale talmente variopinto da metterla in evidente difficoltà, non sapeva come gestire lo strano caso di un allievo che, a conti fatti, suonava un certo repertorio meglio di lei, se pur in modo primariamente istintivo e certamente lacunoso. Erano diverse le cose che non sapeva gestire. La vita è fatta pure di malintesi.