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Sarabanda

Gli anni passano, e in una banalità infinità posso dire che davvero non te ne rendi conto. Far quadrare i conti e arrivare alla fine del mese è un esercizio ben conosciuto ai musicisti fin dai tempi di Johann Sebastian Bach. Poco alla volta la tua mente si svuota di note e si riempie di problemi dozzinali, tragicommedie quotidiane, amenità di ogni tipo. Hai i soldi per comprare le corde e nel contempo hai smarrito le energie per lavorare sul progetto dell’ultima notte. E comunque, la storia dei nostri anni è di quelle nelle quali i quattrini non bastano mai. La mia storia musicale è fatta di progetti rimasti irrealizzati; la nostra storia e la mia trovano spesso punti di coincidenza e sovrapposizione.
Mi capitò di scrivere un’intera opera, un musical, per una compagnia che doveva andare in scena per tutto il Paese. Ci lavorai per più due mesi nelle ore notturne e alla fine non se ne fece nulla, un esempio tra mille che rende l’idea del dilemma. Per un certo periodo cercammo, io e altri musicisti dell’associazione, di entrare nel giro delle radio, il circuito dei jingles pubblicitari, ma la concorrenza di studi fin troppo attrezzati si rivelò un ostacolo insormontabile. Ancora, tentammo alle cattive di riuscire ad ottenere una forma di finanziamento comunale, regionale, arcicaccia, bocciofile, Pii istituti. Zero.
Un mio allievo neo iscritto lavorava per l’appunto in un ufficio dell’assessorato alla cultura, e per curiosità gli domandai una volta se per caso non gli fosse stato mai recapitato un plico proveniente dalla mia associazione. Gentilissimo, si fece in quattro e ritrovò, buttato dietro ad un armadio, il nostro incartamento, un progetto di oltre cinquanta pagine, datato due anni addietro.
Frastornato io, costernato lui. Mi spiegò per bene come andassero le cose in quell’ufficio. Molti anni dopo, un altro mio allievo impiegato in Regione, mi fece parte delle dinamiche attraverso le quali una nota accademia della provincia aveva ricevuto dalla regione la somma di oltre un miliardo di vecchie lire per il rinnovamento dei locali e le spese relative ai corsi di alto perfezionamento.
Un mio grande e vecchio compagno di musica e baldoria ora insegna proprio lì.
Gli affari cominciavano a non andare più un granché bene. Le scuole dell’obbligo tenevano corsi di musica pomeridiani, corsi malfatti ed inutili a costi bassissimi che andavano però incontro alle tasche sempre più vuote della gente. Sulle riviste di annunci e inserzioni si scorrevano a decine le proposte dei dopolavoristi pronti a dare lezioni a prezzi stracciati. Gli istituti altolocati e alto protetti della città disseminavano locandine pubblicitarie in ogni dove, con tanto di timbro comunale e naturalmente non versavano un soldo di bollo. Non avendo i soldi per mettere sulle vetrine dei negozi del quartiere le nostre, ché il bollo era salato, dedicavo parte del mio tempo a sradicare quelle altrui, e non volendo infinocchiare nessuno dei miei assistiti in opera di volantinaggio, passavo in rassegna per conto mio le buche delle lettere, a migliaia.
Suonatore di campanelli, questa mi mancava. Potrei davvero proseguire lungamente, le battaglie per la sopravvivenza sono un esercizio quotidiano; gli anni passano in fretta, questo è vero, ma a raccontarli si fa mattino.
Quel che so, mi arrabattai in un sacco di modi. Tornai in un certo senso a diversi anni prima, quando ancora per non dover mettere il piattino per strada infilavo ciabatte cinesi, ma griffate italiane, negli scatoloni di una notissima ditta pantofolaia.
A parte i lavori saltuari da decoratore, a parte i pochi soldi che mi derivavano dalla collaborazione con uno studio in veste di turnista, a parte le lezioni in associazione che mi occupavano, nonostante tutto, l’intero pomeriggio, e a parte i corsi che tenevo in un paio di licei, a parte tutto ciò, mi sentivo senz’arte né parte, in balia degli eventi, privo di energia, lontano come mai dalla musica.